09 September 2014

Il tema dell'accesso alle informazioni sulle proprie origini da parte di figli adottati è tornato nei giorni scorsi a far parlare i media attraverso alcune storie di cronaca. In realtà l'attenzione sul tema non si è mai sopita grazie agli stimoli giunti in questi anni sia dai gruppi di pressione che chiedono una revisione della legge, sia dal contesto internazionale. 

Come bilanciare la tutela delle madri che scelgono di mettere al mondo un bambino in anonimato e il diritto dei figli ad avere accesso alle informazioni sulle proprie origini biologiche e quindi, di fatto, a una parte della propria identità personale?

Ne abbiamo parlato con la dottoressa Raffaella Pregliasco, ricercatrice dell'Istituto degli Innocenti e giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Firenze.

Dottoressa Pregliasco, qual è attualmente la situazione normativa in Italia, cosa consente di fare la legge?

La legge attualmente in vigore è la 184/83, modificata dalla 149/01 che, all'articolo 28, distingue diverse modalità di accesso alle informazioni sulle origini. I ragazzi tra i 18 e i 25 anni che vogliono acquisire informazioni di questo tipo possono rivolgersi al Tribunale per i Minorenni facendo apposita istanza sulla quale il Tribunale decide nel merito, ovvero valuta se venire a conoscenza di informazioni sulle proprie origini possa in qualche modo nuocere alla salute psicofisica del ragazzo. Dopo questa valutazione si procede o meno a dare accesso agli atti. Per chi ha superato i 25 anni invece il Tribunale non fa valutazioni di merito, ma solo di legittimità, ovvero valuta se ci sono gli estremi perché la persona possa effettivamente fare richiesta. Questo diritto di accesso alle informazioni sulle origini trova però un limite, nell'attuale legge, nell'ipotesi in cui la madre biologica abbia deciso a suo tempo di partorire in anonimato, possibilità prevista nel nostro ordinamento. 

Cosa è successo in questi anni?

Dal punto di vista del diritto positivo la situazione non è cambiata. Quello che è cambiato è il contesto internazionale e anche le pressioni della società civile. L'Italia è stata condannata da una sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo (caso Godelli, 2012), per non concedere la possibilità all'adulto adottato di accedere alle informazioni sulle proprie origini, anche in caso di parto in anonimato. Questa sentenza della Corte non è però vincolante per il legislatore, l'Italia ha dovuto pagare un risarcimento ma non è tenuta a modificare la legge.
Ancor prima erano intervenute varie raccomandazioni del Comitato ONU che nel verificare l'attuazione da parte dell'Italia dei principi della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia ha ritenuto che il nostro Paese non rendesse appieno esigibile il diritto all'identità, previsto dall'art. 7 della Convenzione. Diritto all'identità del quale fa indubbiamente parte il diritto a conoscere le informazioni sulle proprie origini e sul proprio nome. Ha quindi ritenuto che l'Italia non adempisse fino in fondo ai vincoli di una convenzione che ha comunque recepito. Abbiamo quindi da un lato una legge ferma da decenni, dall'altro una serie di sollecitazioni da parte di organismi internazionali e una sentenza molto puntuale della Corte Europea. Se poi guardiamo al contesto internazionale abbiamo anche l'esempio di altri paesi che partendo da una normativa simile alla nostra hanno fatto dei passi avanti. Uno fra questi è la Francia, nel cui ordinamento è previsto il parto in anonimato che però ha fatto dei passaggi normativi per cercare di recepire in modo più completo la convenzione Onu.

A livello di giurisprudenza interna invece cosa sta accadendo?

In questo panorama i tribunali hanno cominciato a ricevere sempre più spesso richieste di accesso alle informazioni. Diversi tribunali tra cui Firenze (uno dei primi) hanno iniziato a problematizzare questa norma e alcuni giudici  hanno approfondito quest'area tematica. In particolare uno di questi giudici, Luciano Trovato, trasferitosi da Firenze al Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, ha emesso un'ordinanza che ha poi portato di fronte alla Corte Costituzionale per verificare la legittimità dell'articolo 28, che nega la possibilità all'adulto adottato di accedere alle informazioni qualora la madre abbia partorito in anonimato. La Corte, con la sentenza n.278/2013, ha di fatto dichiarato l'incostituzionalità dell'art 28 comma 7, nella parte in cui non prevede (pur attraverso un procedimento stabilito dalla Legge che assicura la massima riservatezza), la possibilità per il Giudice di interpellare la madre che ha dichiarato di non voler essere nominata, su richiesta del figlio, ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione. La Corte ha poi invitato lo Stato a legiferare sul tema indicando come riferimento il modello francese.

Come è strutturato questo modello?

Si tratta di un modello che contempera le esigenze di tutela della madre biologica, che magari si è rifatta una vita e che si ritrova a dover venire a contatto con il proprio passato anche di sofferenza, e il diritto del figlio adottato a conoscere le informazioni sulle sue origini, un passaggio importante per la costruzione della propria identità personale per il proprio sviluppo psicofisico. In questo la Francia non ha abrogato la norma che prevede il parto in anonimato, risorsa importantissima per la tutela della donna e la salute del bambino, ma qualora l'adulto adottato, anche in caso di parto in anonimato voglia accedere alle informazioni sulle proprie origini c'è la possibilità di fare domanda a un'agenzia istituita a livello nazionale (Agenzia Francese per le Origini) che a sua volta raccoglie le disponibilità della madre biologica. Qualora la richiesta del figlio incontri la pregressa disponibilità della madre ad essere rintracciata, resa all'agenzia con atto formale, il contatto può aver luogo. Questa posizione ha cominciato ad essere raccolta, nella prassi, dal Tribunale per i minorenni di Firenze, che ha emanato delle ordinanze in cui si chiede agli organi competenti di fare ricerche sulla madre biologica che ha partorito in anonimato per capire se eventualmente è disponibile. La richiesta legittima parte comunque dal figlio. Se la madre si oppone ovviamente il contatto non potrà avvenire.

Attualmente ci sono varie proposte di legge in parlamento per modificare la legge in vigore. Cosa hanno in comune?

Le proposte attive al momento in parlamento hanno in comune il rendere effettivamente esigibile il diritto all'informazione sulle origini, anche nel caso di parto in anonimato, lasciando alla madre la possibilità di scegliere se rendersi contattabile oppure no. Ciò che diversifica le proposte è, ad esempio, la previsione di un soggetto che si occupi della raccolta e dell'archiviazione delle informazioni. In una delle proposte di legge è previsto che questo ruolo venga affidato al Garante per la Privacy che dovrebbe assumere in parte il ruolo che in Francia ha l'Agenzia Nazionale per le Origini. Un'altro punto in comune di fondamentale importanza è l'accompagnamento a questo percorso di consapevolezza personale ma anche l'accompagnamento al disvelamento delle informazioni perché i rapporti con i figli adottati, con la famiglia adottiva, con la famiglia biologica sono delicatissimi ed è indispensabile avere una formazione adeguata e specifica per seguirli al meglio. (fr. cop.)