La sentenza è della Corte di Cassazione, secondo Raffaella Pregliasco: “decisione originata da attuale inadeguatezza della norma”.
29 March 2016

Diffondere un selfie porno di un minorenne non è un reato se a cedere gli scatti osè è il minore stesso.
Questo è l'esito della sentenza dei giudici della Cassazione che hanno dovuto decidere in merito al caso di una minorenne che ha condiviso delle sue fotografie pornografiche con dieci amici.

Il primo a pronunciarsi è stato il  tribunale dei minori dell'Aquila che decide il non luogo a procedere interpretando la norma (art. 600-ter c.p.) a favore dei presunti rei, cioè “è punito chi offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito materiale pedopornografico di cui al primo comma”, e il primo comma dice: “chi realizza esibizioni o spettacoli pornografici, ovvero chi li produce”.

Il procuratore capo del capoluogo abruzzese impugna la decisione portando il caso davanti alla Suprema Corte ma la Cassazione rigetta il suo ricorso e conferma che non è reato diffondere un selfie pornografico perché il codice sanziona la cessione di materiale pedopornografico solo se quel materiale “sia stato realizzato da soggetto diverso dal minore raffigurato”.

“La situazione che ha dato origine alla sentenza della Corte di Cassazione – spiega Raffaella Pregliasco, giurista dell'Istituto degli Innocenti – evidenzia il problema dell’attuale inadeguatezza dell’art. 600-ter c.p. nel fornire tutela verso forme di abuso pedopornografico che, come il sexting e la diffusione non autorizzata di materiale sessualmente esplicito rientrino in schemi comportamentali diversi rispetto a quelli che hanno inizialmente ispirato la costruzione della norma”.

“D’altra parte – aggiunge – da un punto di vista socio-culturale, va rilevato come purtroppo tali fenomeni siano oggi comuni anche fra pre-adolescenti”. “In attesa di un adeguamento della legislazione – conclude Raffaella Pregliasco - è opportuno sviluppare interventi di sensibilizzazione e di informazione su queste tematiche, interventi rivolti ai ragazzi in primis, ma anche alle famiglie, alla scuola e a tutte le agenzie formative e educative”.

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