17 March 2014

Nelle scorse settimane si è tornato a parlare della Convenzione de l'Aja del 1996, il trattato che norma la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori. L'Italia è in forte ritardo sulla ratifica della Convenzione, che pure ha sottoscritto nel 2003,  e il governo precedente ha tentato di sanare questa mancanza presentando uno specifico disegno di legge (ddl 1589), attualmente in corso di esame in commissione. 

Tra i vari provvedimenti la norma, nel ratificare la Convenzione, introdurrebbe nell'ordinamento italiano la kafalah, un istituto previsto negli ordinamenti di matrice religiosa musulmana quale unica misura di protezione dei minori abbandonati, a causa del generale divieto dell'adozione che vige in quegli stati.

Abbiamo chiesto alla dott.ssa Joelle Long, ricercatrice e docente di Diritto di famiglia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Torino, di illustrarci i punti salienti del ddl e evidenziarne i passaggi di maggiore complessità in merito alla questione specifica.

Dott.ssa Long, come si integra, secondo il ddl 1589, l'istituto della kafalah nell'attuale normativa nazionale in ambito di adozione internazionale e di affidamento?
Gli articoli in questione sono il 4 e il 5 del disegno di legge. Entrambi evitano di menzionare apertamente la kafalah, ma il riferimento alla stessa è evidente dal richiamo dell’art. 33 della Convenzione dell’Aja del 1996 che promuove la cooperazione tra le autorità del Paese di origine e quelle del Paese di accoglienza nel caso in cui il minore sia dalle autorità del suo Paese di origine affidato in modo tendenzialmente stabile a una famiglia residente in un altro Paese o sia collocato sempre in modo tendenzialmente stabile in una struttura assistenziale di un altro Paese. L’obiettivo della Convenzione, del tutto condivisibile, è che le autorità dei due Paesi prendano contatti e concordino sulla misura di protezione prima della sua realizzazione, proprio in considerazione del fatto che essa è disposta in uno Stato ma dovrà essere eseguita in un altro e che si tratta di una misura di protezione di lungo periodo (di regola infatti la kafalah dura fino alla maggiore età del minore).Tornando al disegno di legge. L’art. 4 concerne l’affidamento o assistenza legale del minore non in stato di abbandono: prima della sua realizzazione occorre l’ok del tribunale per i minorenni italiano del luogo di residenza degli affidatari che deve verificare la loro idoneità e ha anche poteri di indagine sulla situazione del minore nel Paese di origine. L’art. 5 riguarda invece l’assistenza legale del minore in situazione di abbandono. Il minore viene accolto da coniugi che devono essere in possesso del decreto di idoneità per l’adozione internazionale, devono incaricare di curare la fase estera della procedura un ente autorizzato all’intermediazione nelle adozioni. Ai coniugi viene poi attribuita la tutela del minore.

Il disegno di legge ha sollevato lo scetticismo di quanti si prefigurano una maggiore facilità nell'aggirare le regole dell'adozione internazionale. Esiste questa possibilità? Quali sono le principali criticità, se ci sono, che l'attuale proposta di legge presenta?
Prima di esaminare le criticità del disegno di legge, sottolineo che la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1996 era ormai necessaria e urgente in quanto la Convenzione dell’Aja del 1961, che costituiva la fonte normativa di riferimento per quanto concerne la protezione del minori, è ormai in gran parte obsoleta. Anche un chiarimento sulle modalità di attuazione dell’art.33 della Conv. era opportuno.A una prima lettura mi pare tuttavia che gli artt. 4 e 5 non possano – nella loro formulazione attuale - essere condivisi. Essi infatti sembrano promuovere la “traduzione” della kafalah secondo schemi concettuali propri del diritto interno.L’art. 5, in particolare, rischia di creare un binario di adozioni internazionali ulteriore e parallelo rispetto a quello di cui agli artt. 29 ss. Legge n.184/1983 (vedi requisito di idoneità all’adozione, competenza della CAI, ruolo di intermediazione degli enti di intermediazione nelle “adozioni internazionali”).L’art. 4 attribuisce al tribunale per i minorenni il compito di valutare non solo l’idoneità della famiglia di accoglienza ma anche la situazione del minore nel Paese di origine. Tutto ciò tuttavia, come già detto, rischia di tradire lo spirito della Convenzione dell’Aja, nonchè il principio di mutua fiducia e rispetto che deve caratterizzare le relazioni internazionali. Obiettivo della Convenzione dell’Aja è infatti di promuovere il “riconoscimento” e l’esecuzione delle misure di protezione negli Stati contraenti (art.1 c.1 d) e di promuovere la cooperazione tra gli stessi (art. 1 c. 1 lett. e),.Oltre a ciò , non può essere dimenticato che l’adozione è espressamente esclusa dall’ambito di applicazione di questa Convenzione (cfr. art. 4)Le nuove norme rischierebbero poi di tradire anche le intenzioni degli ordinamenti di origine dei bambini. Come già detto, esse interpretano il diritto del Paese di origine alla luce delle categorie concettuali italiane. Ciò emerge ictu oculi dalla previsione di due diversi itinera (con diversi requisiti e diverse autorità coinvolte) malgrado l’unitarietà della misura di protezione per il Paese di origine. La “naturale” evoluzione delle situazioni di cui all’art.5 pare essere l’adozione dei minori in Italia da parte delle coppie italiane (in primis ex art. 44 lett. d legge n.184/1983), con conseguente rischio di proliferare di soluzioni claudicanti, in quanto tali adozioni non potranno essere riconosciute nel Paese di origine qualora tale Paese vieti l’adozione.

Che tipo di situazioni andrebbe a risolvere e a semplificare il riconoscimento della kafalah?
Direi che verrebbe incontro alle istanze delle coppie di cittadini italiani che vogliano “adottare” un bambino in un Paese che vieti l’adozione.Mira inoltre – mi pare - a semplificare anche quelle situazioni di cosiddetta kafala consensuale omologata, cioè di stranieri che chiedono di portare in Italia un giovane parente/un amico di famiglia nel quadro di un progetto migratorio condiviso con i genitori del minore. La giurisprudenza è infatti scettica nel riconoscere in tali situazioni il diritto al ricongiungimento, anche nel caso in cui kafalah non sia meramente consensuale e abbia invece ottenuto un’omologa giudiziale

In che modo gli altri paesi hanno ovviato alla questione? Può illustrarci alcuni esempi in ambito europeo?
Mi limito a citare il caso dei Paesi Bassi, individuato quale esempio di corretta attuazione dell’art. 33 Conv. L’Aja dalla stessa Conferenza dell’Aja nel suo documento sull’attuazione della Convenzione. La legge olandese (legge 16.2.2006 sulla protezione internazionale dei minori), prendendo spunto anche dalla Convenzione dell’Aja del 1993 sull’adozione internazionale,  disciplina sia il caso di esecuzione nei Paesi Bassi di una misura di protezione di un minore disposta all’estero (che è il caso che qui interessa), sia l’esecuzione all’estero di una misura di protezione disposta nei Paesi Bassi. E si prevede una lista comune di documenti che le autorità centrali dovranno valutare prima di dare il loro assenso alla prosecuzione della procedura. Essi comprendono: una dichiarazione scritta di consenso all’accoglienza da parte degli affidatari/della struttura che dovrebbe accogliere il minore; la dichiarazione di idoneità all’accoglienza degli affidatari da parte della competente autorità del loro Paese di residenza abituale; la dichiarazione che al minore sarà garantito l’ingresso e il diritto di soggiorno (fr.cop)